Circolo virtuoso Il nome della Rosa
Giulianova Alta, Via Gramsci 46/a
Info Line 338/9727534
VENERDÌ 19 APRILE ORE 21,00
READING
NARRIAMOCI 2024
Reading conclusivo partecipanti corso scrittura creativa
“Un giorno troverò le parole giuste, e saranno semplici”
RACCONTI CLASSIFICATI AL TERZO POSTO
MANI – Anna Cozzi
Non mi ero mai soffermata così tanto sull’aspetto delle mie mani fino a quando, una mattina, al risveglio, gli occhi semichiusi, la luce soffusa che filtrava dalle persiane accostate, il mio sguardo si è posato proprio lì.
Affusolate e pallide, non ancora segnate dalle macchie scure che denotano il passare del tempo, la pelle diafana che lascia intravedere le vene impietose che corrono dalla radice delle dita verso i polsi sottili, le rughe.
Quando erano comparse quelle rughe?
Non ricordavo di averle mai notate. Eppure erano lì a darmi contezza degli anni trascorsi.
Moltissime cose avevo potuto realizzare grazie a loro. Sentivo per la prima volta un senso di gratitudine e nello stesso tempo di meraviglia per il pensiero che si affacciava inaspettato nella mia mente.
Avevo potuto elargire carezze ed asciugare lacrime, stringere altre mani per confortare e sostenere, scompigliare i capelli dei miei bambini, sorridenti ed irriverenti – nonostante le difficoltà della nostra famiglia – come solo i bambini possono e sanno essere.
Decido di alzarmi ed iniziare la giornata: abbandonare le coperte non è cosa semplice, ma la luce che avanza nella mia camera da letto, è un invito all’azione. Spalanco le persiane e mi faccio accarezzare dai raggi già caldi di questo sole primaverile.
Scendo al piano inferiore, spalanco le finestre e lascio che ogni angolo della cucina venga invaso dal calore.
Un caffè…ho bisogno di un caffè.
Le mie mani corrono veloci sul piano di lavoro della cucina: accendo la macchina per il caffè, apro la scatola azzurra che contiene le cialde, prendo dallo scaffale una tazza grande per la mia adorata bevanda e dopo averci versato dentro lo zucchero, ci lascio scorrere il liquido profumato.
Cerco qualcosa da mangiare: non so se ho appetito, ma sono certa che se non mangio, pagherò il mio adorato caffè con un feroce mal di stomaco.
Il cibo è sempre stato un problema per me, fin da piccola.
Il pensiero corre alle mani amorevoli di mia nonna che prepara per me i pasti mentre la mia mamma aiuta papà nel lavoro dei campi.
Ricordo, come fosse accaduto ieri, nonna Teresa che con fare solenne, nonostante la minuscola statura, esce dalla cucina portando nella mano destra, un piatto con tanti minuscoli bocconi di carne e pane che dovranno finire nella mia bocca svogliata e, nella mano sinistra, un libro illustrato che dovrà distogliere la mia attenzione dall’inappetenza perenne che mi abita.
Due sedie posizionate vicine davanti al camino acceso: una seduta delle due, diventa appoggio per il libro, l’altra accoglie nonna Teresa che con il piatto in grembo, mi imbocca mentre con la mano libera sfoglia il piccolo mondo illustrato al quale, con parole semplici, riesce a dare vita.
Ricordo ancora il tocco delle sue mani: piccole, nodose, la pelle ormai trasparente, le estremità delle dita deformate dall’avanzare dell’età e sgradito regalo del duro lavoro nei campi ed in casa, per prendersi cura dei sei figli avuti da mio nonno. Sola, mentre mio nonno è in guerra, sola anche dopo la fine della guerra: vivere con un alcolista è peggio che vivere da soli. Ho fatto la medesima scelta: come avrei potuto fare altro avendo respirato in tutta la mia infanzia l’aria pesante delle liti, le inutili speranze in un cambiamento, l’attesa di “quel” miracolo?
Ho trovato dei biscotti da sgranocchiare in dispensa: non mi piacciono molto, ma in cucina gli scaffali sono quasi vuoti. Non ho avuto tempo di fare la spesa nel fine settimana.
Il mio stomaco ringrazia mentre, insieme ai biscotti, il caffè caldo, lo raggiunge, deliziandolo.
Apro il frigo dove due piccole zucchine un po’ malridotte e tre patate, fanno capolino dallo scomparto basso della frutta e della verdura. Alzo gli occhi cercando qualcos’altro da mangiare per pranzo: un pezzo di salame da affettare ed uno spicchio di formaggio. Se avessi del pane, potrei farmi un panino.
Pane e salame sarebbe perfetto.
Perfetto come quella sera di molti anni fa.
Luca ed io eravamo a letto: a fine giornata quello era il momento del raccontarsi e coccolarsi un po’. Sposati da pochi mesi, convinti che l’amore potesse vincere ogni difficoltà, fiduciosi in un futuro che non poteva che essere roseo per noi. Ogni dubbio sulle nostre differenze caratteriali che spesso ci aveva portato sull’orlo della rottura, sembrava essere svanito: avevamo il nostro nido, la nostra isola, il nostro tempo.
Il gioco e le risate sommesse, riempivano le pareti della stanza. Era tardissimo ed io ho esordito con:” Ho fame! Che facciamo? In casa non abbiamo nulla!”
Lo vedo scendere dal letto, piedi scalzi, con uno sguardo sornione mi lancia un bacio a fior di labbra sussurrandomi “Torno subito!”
Attendo, curiosa di vederlo ricomparire, ed eccolo lì, un gran vassoio tra le mani, tante sottili fette di pane cosparse di olio, salame e formaggio in quantità. Sono passati davvero tanti anni, ma il ricordo del suo sorriso e delle sue mani che mi porgono quel cibo, è rimasto indelebile nella mia memoria.
Si era anche leggermente ferito nel preparare quel banchetto inaspettato: nel tentativo di improvvisare una medicazione sul taglio, ricordo di essermi soffermata a guardare le sue mani. Grandi, dita lunghe e forti, unghie curate: ricordo di aver pensato che fossero belle come lui. Ero convinta che quelle mani si sarebbero prodigate per sempre per curarmi e proteggermi.
In breve tempo ho dovuto svegliarmi da quel sogno: ho scoperto che il ragazzo forte e risoluto che avevo creduto di conoscere, era invece fragile come un cristallo ed incapace di affrontare il quotidiano senza stordirsi con l’alcool, il veleno che sembrava dargli il coraggio di vincere le sue paure. Quelle mani che avevo tanto amato, mi spaventavano da morire. Le carezze ed i “perdonami” si alternavano ad un ritmo velocissimo ed io mi sentivo paralizzata, dilaniata dal senso di colpa per non riuscire a portare me ed i miei bambini, attraverso il dolore, in una vita degna di essere definita tale.
Non so come, né a chi, chiedere aiuto.
La mia bambina è la prima a mostrare un cedimento nella struttura che cerco strenuamente ed infelicemente di mantenere. La sua malattia mi sbatte in faccia la dura realtà: ho bisogno di aiuto.
Il tempo oggi è bellissimo: indosso rapidamente i vestiti più comodi che ho e mi dirigo verso il mare.
Il ritmo dei passi ed il suono del mio respiro mi fanno compagnia, mentre i pensieri corrono veloci.
Un’ondata di ricordi invade la mia mente: luoghi, accadimenti, persone…mani.
In quei lunghi anni, in cui la mia unica occupazione è stata la cura dei miei figli, la vita per me è cambiata radicalmente.
Io sono cambiata radicalmente.
Ricordo con gioia i molti incontri e le esperienze con persone tanto diverse da me, che hanno fatto emergere lati a me sconosciuti della mia personalità.
Persone che generosamente hanno condiviso con me il loro sapere e la loro esperienza, rendendomi protagonista della mia esistenza.
Mani…tante mani.
Alcune generose, concrete, che hanno condiviso senza alcuna riserva.
Altre, alla fine di braccia trattenute, non completamente distese verso di me, in attesa di ricevere ancor prima di dare.
Altre fatte di vento, vuote come parole mai divenute azione.
Altre ancora che mi hanno permesso di indossare le mie ali per volare.
Mani che mi hanno insegnato a contare solo su me stessa, pur nella certezza che ne esistessero altre, pronte ad intervenire in caso di necessità.
Mani la cui presenza non ho mai data per scontata, piuttosto un dono immenso che la vita mi ha fatto e per il quale sono infinitamente grata.
Ferma davanti al mare, sento il mio petto sollevarsi profondamente inspirandone il profumo: godo finalmente del suo respiro e della mia libertà.
Guardo le mie mani sotto i raggi splendenti del sole e benedico con un sorriso le loro rughe, segno di un tempo che non è trascorso invano.
ROTTURA – Bruna Parisani
Carissima Gina,
sai qual è la mia situazione: mia moglie, che mi ha sposato per la posizione sociale, vuole il meglio. Pensa che, giorni fa, mi ha portato in un negozio di borse dove all’ingresso c’era una guardia giurata, sono uscito con un ammanco di duemila e cinquecento euro dal mio conto corrente. È fatta così. L’eccellenza è una sua prerogativa. Ora, venendo a noi, mi hai sempre accontentato, non usi concimi, né pesticidi, le tue galline sono libere, i galli anche, i maiali posseggono un loft di 50 mq., alle pecore e alle mucche destini un appezzamento di terreno coltivato solo con sulla e lupinella. Quindi massima fiducia nei tuoi prodotti. Nonostante ciò, è successa una cosa gravissima. L’ultimo pollo o gallo che ho preso da te aveva un foro in testa che prendeva da parte a parte e mancava di una coscia. Tu sai com’è Ninetto mio, mangia solo le cosce! Mia moglie ha lanciato un acuto davanti alla cuoca che per due giorni ha avuto un’otite con febbre alta. Il giovedì di solito si mangia il pollo con contorno di patate e Ninetto mio subito si è accorto della differenza fra le due cosce: l’una era, per così dire, atletica; l’altra, acquistata in polleria, floscia. Il povero bambino, sentendosi ingannato, ci ha guardato negli occhi asserendo che Donna Gina non poteva essere più il nostro fornitore. Ragion per cui, da oggi 3 marzo, il rapporto commerciale tra noi può considerarsi concluso.
Saluti.
Dott. Paolo Tentenna
Caro Paolo,
riconosco di essere stata alquanto sbadata, ma i fatti sono questi. Abbiamo trovato una buca in prossimità della recinzione del pollaio. Nestore, mio marito, per tre notti è rimasto appostato alla finestrella del granaio. Alla terza notte ha sentito dei rumori e si è messo a sparare senza mirare il bersaglio, facendo fuori la volpe e tre galli. Di questi tre galli, due li abbiamo consumati noi, il terzo l’ho consegnato a tua moglie, la quale, come al solito, aveva fretta e non ho potuto raccontarle la storia della sparatoria notturna. Non mi voglio giustificare, la colpa è solo mia, però pensa alle conseguenze del caso. Nestore, per quanto è rimasto scioccato, sono due giorni che non esce dalla camera; ho dovuto seppellire da sola la volpe, i vicini hanno chiamato i carabinieri che hanno voluto vedere il porto d’armi e in più le galline non avendo più galli hanno inscenato lo sciopero delle uova. Ti chiedo solo questo: parla con Ninetto tuo e racconta l’accaduto, sicuramente lui, che è così sensibile, capirà!
Saluti.
Gina