CIRCOLO VIRTUOSO IL NOME DELLA ROSA

GIULIANOVA ALTA, VIA GRAMSCI 46/A

INFO LINE 338/9727534

VENERDÌ 19 APRILE ORE 21,00

READING

NARRIAMOCI 2024

Reading conclusivo partecipanti corso scrittura creativa

Un giorno troverò le parole giuste, e saranno semplici

 

RACCONTO PRIMO CLASSIFICATO

 

UNA STATUA MUTA – Gabriele SULLI

 

Una statua muta
Il cristallo dell’aria nell’azzurro del mattino, il verde
nuovo delle colline e degli olmi lungo i viali, i boccioli
pallidi fra i rami ancora nudi dei ciliegi: un’autentica
promessa di primavera.
Ma una bora affilata precipitava dalle vette all’orizzonte,
ancora bianche di neve, raggelava il cuore e si portava via il
piacere del tepore sulla pelle al sole. I baveri dei giacconi
restavano alzati, gli occhi bassi, le schiene un po’ curve,
quasi che il peso dell’inverno fosse ancora tutto da sostenere
e lontana la speranza di svegliarsi al garrire delle rondini
precoci.
La luce candida pervadeva lo spazio intorno e la volta del
cielo pareva contenere a stento l’azzurro immacolato gonfiato
dai turbini impetuosi. Se si fosse creata una crepa lassù e
tutto, case, strade, campi, boschi, montagne, fosse stato
risucchiato a formidabile velocità, non mi sarei eccessivamente
meravigliato, forse perché era proprio ciò che speravo nel
profondo dell’animo.
Io ero in piedi, a qualche metro da lei. Attendevo che le
sue labbra si aprissero e liberassero il suono delle parole che
avrebbero deciso della mia esistenza.
Lei era seduta su un muretto, rintanata nel suo cappotto.
Mi guardava e i suoi occhi scuri brillavano al sole e non
capivo come potesse tenerli così spalancati, forse presagio
della chiarezza e della inesorabilità del verdetto.
Riponiamo i nostri sogni nella lusinga di progetti
minuziosi, interminabili attese, sogni ricorrenti, notti
insonni, quotidiane rinunce, ferree discipline.
E quando il destino di quei desideri è giunto finalmente a
compiersi, avvertiamo il crepitare della corda tesa dell’arco,
il fruscio della clessidra che si vuota. In quegli istanti
vacilliamo fra il passaporto da rinnovare, la fatica del
trasloco, l’orario del treno per il nuovo ufficio e il divano
davanti al televisore, le feste con i parenti, le birre con gli
amici.
E’ per questo che speriamo in un caso miracoloso: un’epocale
nevicata, un blackout generalizzato, lo sciopero dei treni, la
batteria dell’auto scarica, la sveglia che non suona, un evento
casuale che sveli una soluzione imprevista e feconda, come il
finale di un racconto zen.
Il suo cuore decise, la bocca si aprì, il fiato fu emesso,
le corde vocali vibrarono, le mie orecchie ascoltarono.
Ma non del tutto. Il graffio di una raffica, nella distanza che
ci separava, aveva distorto e portato via la fatidica frase.
C’era stato un silenzio prolungato fra noi e le avevo voltato
le spalle. Poi, nervoso, avevo fatto qualche passo veloce, di
scatto mi ero girato ancora e avevo chiesto, con la voce di un
altro:
– Allora, a che punto siamo della nostra storia?
Un modo insensato per chiedere se mi amasse ancora o se mi
avesse mai amato.
Il filtro della timidezza e dell’imbarazzo aveva di nuovo
lavorato con la massima efficienza. Speravo che anche in lei
avrebbe operato allo stesso modo, perché una replica troppo
diretta sarebbe stata difficile da sostenere. Meglio un
responso vago sul quale discutere a lungo.
Ma il tono della voce era parso privo di tentennamenti e
ambiguità. Solo un soffio più intenso mi aveva impedito di
udire distintamente e comprendere.
Chi mi avrebbe dato la forza di chiedere ancora? Mi arresi alla
stanchezza, alla fragilità, all’ansia, al dubbio.
Chi ero? Un adolescente timoroso alle prese con i primi
stravolgimenti del cuore? Un giovane che chiede alla sua donna
di sposarlo? Un maturo signore sull’orlo del divorzio? Un
vecchio stanco che parla alla vita mentre essa si dilegua?
Prigioniero di un trasformismo frenetico, ero stato tutto
questo, mentre lei si era rivelata il centro inamovibile della
nostra storia, la perturbazione emozionale capace, di volta in
volta, di far precipitare in uno stato psicologico più o meno
stabile la mia anima confusa.
E allora a quale me aveva risposto? Avrebbe potuto emettere una
diversa sentenza per ogni mio personaggio del nostro
psicodramma.
Mi chiesi se, in quella giornata d’ineffabile primavera,
una sillaba rubata avrebbe potuto causare un disequilibrio
irrimediabile, tale da aprire la frattura nella volta del cielo
capace realmente di ingoiare ogni cosa nel vortice di una
folata.
Ormai non rimaneva niente dell’amante ch’ero stato, delle mie
metamorfosi, del gioco di specchi multipli e di eco sovrapposte
fra me e lei.
Ora era lì, sola, lontana, su quel pezzo di muro, l’effige
di una dea degna un tempo di adorazione e sacrifici ed ora
trasformata in una statua muta.